Un tempo chi adorava e si eccitava guardando e toccando i piedi, le scarpe o un paio di calze (feticisti), chi amava sottomettere ed umiliare il proprio partner (sadici), chi desiderava ardentemente servire il proprio partner/padrone accettando di essere maltrattato (masochisti) era chiamato pervertito, quindi nel gergo comune veniva etichettato come anormale o malato. Oggi la scienza ha normalizzato alcune “attitudini o preferenze sessuali” parlando di parafilie e quando si sconfina nella patologia di disturbo parafiliaco, quindi il limite tra sano e malato dimorerebbe in questa distinzione.
Ma quando è che si rientra nella categoria “famolo strano” e quando invece i propri impulsi vanno considerati un campanello di allarme?
Si parla di parafilia quando il proprio interesse sessuale non è principalmente diretto alla stimolazione dei genitali o ai preliminari sessuali con un compagno /a umano, sessualmente maturo e normotipico. Nella parafilia, l’eccitazione, il desiderio e le fantasie sono invece provocati e rivolti ad oggetti (scarpe, bambole o altri feticci) o attività non abituali (farsi bendare, legare e frustrare o portare al guizaglio).
Si parla di disturbo parafiliaco invece quando le proprie fantasie e i propri desideri sono fonte di angoscia e disagio (disagio non derivante dalla scarsa approvazione sociale per le proprie attitudini e preferenze), quando interferiscono significativamente con la vita sociale, lavorativa e relazionale, quando possono provocare danni o sofferenze a se stessi o a terze persone, quando le persone coinvolte non sono consenzienti, non in grado di intendere e volere oppure bambini e adoloscenti.