A tutti nella vita è capitato di sentirsi in colpa e sicuramente è stato un momento molto spiacevole. Il senso di colpa è legato ad un errore commesso, uno sgarbo, una cattiveria fatta a qualcuno. È un’emozione pro-sociale poiché regola le relazioni interpersonali.
Ma da dove nasce il senso di colpa? Nasce dalle regole che sono trasmesse di generazione in generazione attraverso la cultura, le regole implicano dei doveri, in sintesi, se c’è una regola devo rispettarla, se non la rispetto scatta il senso di colpa. Ma le regole trasmesse culturalmente sono spesso arbitrarie e cambiano nel tempo. Quando però una persona è catturata dallo tsunami del senso di colpa, non si ferma a riflettere sulla correttezza o meno della regola, si sente in colpa e basta. Spesso quando si deve prendere una decisione ci si limita ad interrogarsi se fare una cosa sia giusto o sbagliato, quando invece bisognerebbe domandarsi se sia giusto o sbagliato per noi, per quelli che sono i nostri valori (valori intesi come le direzioni in cui vogliamo che la nostra vita vada, le scelte che desideriamo compiere). Questo non significa che dobbiamo calpestare gli altrui diritti per assecondare i nostri capricci, ma non si deve neppure rinunciare ad assecondare le proprie inclinazioni, desideri e volontà per assecondare ipotetiche norme generali.
Il senso di colpa può essere sano o patologico. È definito “sano”, quando l’errore commesso nei confronti di una terza persona è un errore reale/oggettivo, ad esempio sentirsi in colpa per aver maltrattato una persona senza che questa se lo meritasse “mi sento in colpa per aver dato uno schiaffo a mio figlio quando non ha voluto farmi una piccola cortesia”. In questo caso, il senso di colpa, è come una sorta di grillo parlante che ci permette di comportarci secondo le regole. In assenza invece di un reale errore possiamo parlare di senso di colpa patologico, spesso legato alle doverizzazioni, es: “mi sento in colpa per aver lasciato i miei bambini a casa con i nonni ed essere uscita con gli amici”, in questo caso la doverizzazione potrebbe essere: “una buona madre non deve mai lasciare i figli a qualcuno per andarsi a divertire”.
Sebbene il confine tra senso di colpa reale e patologico a volte può essere labile, pensiamo ad esempio ad una persona che decide volontariamente di non andare a trovare la madre in ospedale, oggettivamente non ha commesso nessun errore, ma potrebbe sentirsi in colpa poiché pensa di essere un figlio ingrato.
Il senso di colpa inoltre è figlio della manipolazione. Soggetti altamente manipolatori infatti lo utilizzano spesso per ottenere ciò che desiderano, pensiamo ad una famiglia invischiata (famiglia in cui i confini generazionali non sono chiari e dove c’è un eccesso di preoccupazione e protettività) in cui i genitori rimproverano il figlio di non farli dormire e di farli soffrire quando di sera lui esce con gli amici, in questo caso il figlio potrebbe sentirsi in colpa e rinunciare a divertirsi (limitando così anche la propria autonomia) per evitare di far soffrire i genitori.
È importante imparare a discriminare tra senso di colpa sano e patologico affinchè si possa essere in grado di gestire entrambi. Ricordiamo che quando i sensi di colpa sono sani ciò che viene messo in discussione è il solo comportamento commesso e non la persona in toto, questo fa si che si possa modificare il proprio comportamento senza andare ad intaccare la propria autostima, inoltre sani sensi di colpa permettono di sanare il torto commesso.
Il senso di colpa patologico invece è molto subdolo poiché può minare l’autostima andando a criticare la persona e non il singolo comportamento, può causare comportamenti riparatori compulsivi e quindi deleteri a lungo termine: “mi sento in colpa quindi bevo, mi abbuffo…”. Tutto ciò ostacola il processo di cambiamento impedendo il miglioramento.
Ma cosa possiamo fare? Iniziamo con l’analizzare il nostro senso di colpa per capire cosa c’è di giusto e cosa di sbagliato e quali sono le doverizzazioni che ci intrappolano. Esempio: “mi sento in colpa perchè ho detto di no ad una amica che voleva uscire per sfogarsi per avere appena perso il lavoro, ma io ero stremata da una giornata molto pesante”. Cosa è giusto? “l’amica ha perso il lavoro e sta male”. Quale è la doverizzazione? “dovere sempre aiutare chi ha bisogno”. Cosa è sbagliato? “dover aiutare sempre e comunque chi è in difficoltà anche a scapito di come io mi sento”. Cosa posso fare per stare meglio? “potrei motivare il mio rifiuto e rimandare l’uscita all’indomani”.
Una piccola cosa possiamo imparare a farla subito, liberiamoci dalle doverizzazioni ed ogni volta che ci viene in mente la parola devo sostituiamola con vorrei, preferirei.
Bibliografia:
Strocchi M. C., (2002). Se non ami te stesso chi ti amerà? San Paolo Edizioni.
Thalmann Y-A., (2012). Quaderno di esercizi per liberarsi dai sensi di colpa, Antonio Vallardi Editore.
In un rapporto di amicizia frasi come “se sei davvero mia amica come dici, fai così”, “se mi vuoi bene, fai così/torna la persona che mi piace tanto”, “mi stai deludendo,pensavo mi volessi più bene di così”, “io non ho mai detto di esser perfetta, però”, “pensa come vuoi, visto che non mi credi” e dopo che tu rispondi “posso anche crederti ma vedo i fatti, che non sono molto diversi da come ho scritto”, sentir dire “non meriti altre risposte”… e simili, come possono essere considerati?
Buongiorno Alessandra, le frasi pronunciate dalla sua “amica” mi sembrano abbastanza manipolative. Non conoscendo la vicenda non mi sento di aggiungere altro.
Buongiorno,
diciamo che questo avveniva pressoché sempre quando cercavo di dire qualcosa che non mi andava, mentre l’altra persona mi diceva sempre cosa non le andava di me e asseriva di voler io facessi altrettanto
Buongiorno, come le scrivevo la scorsa volta mi sembra che la sua amica abbia avuto in più occasioni uno stile comunicativo manipolativo. Le persone che adottano questo stile, una volta che si è preso coscienza di ciò, vanno fermate. Se non funziona adottare uno stile comunicativo assertivo in cui lei esprime il proprio disagio per come è “stata trattata in più di un’episodio”, a questo punto, forse, metterei in discussione la parola “amica”.
Buongiorno
purtroppo ero molto legata a questa persona, quindi sì mi infastidivo e rispondevo a tono, o alterandomi, ma non le vedevo come manipolazioni, ricatti. Solo col sennò di poi, e di conseguenza a una pesante delusione, mi sono resa conto della realtà. Penso fondamentalmente perchè credo possa capitare di utilizzare frasi simili, ma non possono essere costanti ogni volta che si prova a dire qualcosa che non ci va, quando l’altra persona dice sempre cosa non le va di noi, e asserisce di voler che noi facciamo altrettanto.
in un rapporto di amicizia frasi come “se sei davvero mia amica come dici, fai così”, “se mi vuoi bene, fai così/torna la persona che mi piace tanto”, “mi stai deludendo,pensavo mi volessi più bene di così”, “io non ho mai detto di esser perfetta, però”, “pensa come vuoi, visto che non mi credi” e dopo che tu rispondi “posso anche crederti ma vedo i fatti, che non sono molto diversi da come ho scritto”, sentir dire “non meriti altre risposte”… e simili come possono essere considerati?